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Sperimentare con gli OGM

Persistere nel divieto di sperimentazione degli OGM è
sconsiderato

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Scienza e razionalità

Pubblicato: 22 Maggio 2020


Scritto da Eddo Rugini e Bruno Mezzetti


Nel gennaio 2020 i Ricercatori italiani, possessori di piante geneticamente modificate
(OGM) costituite presso i loro laboratori, hanno sollecitato, a mezzo lettera
raccomandata, alcuni Ministri e rappresentanti italiani a Bruxelles, a rimuovere il divieto
di sperimentazione in campo di piante geneticamente modificate, imposto in Italia, e
solo in Italia, da quasi 20 anni.
Il divieto riguarda sia le piante ottenute col trasferimento genico (OGM) sia quelle
ottenute con la recente tecnologia del Genome Editing (GE). Per queste ultime, la cui
tecnologia non prevede il trasferimento di geni da individuo a individuo, si auspica un iter
semplificato per la commercializzazione, ma la via sembra ancora lunga e molto incerta,
tanto che l’Europa ha rimandato la discussione sull’argomento ad aprile 2021. Si
ribadisce fermamente che la sperimentazione di campo è indispensabile per saggiare, in
condizioni comunque controllate, la loro efficacia e la sicurezza ambientale.
L’Unione Europea continua ad approvare notifiche per l’importazione di nuovi prodotti
OGM da oltreoceano e al contempo gli Stati membri, con ignobile ipocrisia, continuano a
vietarne la coltivazione con gravissimi danni economici per gli agricoltori. I maiscoltori
padani sono costretti a ridurre le loro superfici coltivate a mais, perché non reggono la
concorrenza di mais OGM, sia per rese unitarie sia per qualità.
In certe annate, sono costretti a bruciare la granella nei termovalorizzatori, perché non
idonea all’alimentazione umana o animale, a causa della presenza di aflatossine
notoriamente cancerogene al di sopra dei limiti consentiti dalla legge, sebbene durante
la coltivazione vengano impiegate massicce quantità di insetticidi, non certo di per sé utili
all’ambiente, che dovrebbero controllare gli insetti responsabili della loro origine. Al
contrario, le coltivazioni di mais OGM, capaci di difendersi autonomamente, non
richiedono tali trattamenti chimici per fornire il prodotto sano, a tutto beneficio del
reddito degli agricoltori, della salute e della tutela dell’ambiente.
Entrambe le tecnologie (OGM e GE) vanno salvaguardate, perché sono complementari e
indispensabili per costituire rapidamente nuove varietà (per ampliare cioè la variabilità
genetica). Negli USA, approfittando della scadenza di alcuni brevetti, si continua a
costituire nuovi OGM, alcuni dei quali vengono autorizzati ad essere coltivati con una
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semplice comunicazione agli uffici preposti, in quanto considerati GRAS (generally
recognized as safe), cioè sicuri, perché assimilabili alle piante già in commercio costituite
con le stesse già collaudate tecnologie da oltre 30 anni.
Le piante OGM per le quali abbiamo chiesto lo sblocco del divieto di sperimentazione di
campo, appartengono a varietà di specie tipiche dell’agricoltura italiana, per un totale di
oltre 40 differenti individui, molti dei quali sono in attesa da oltre 20 anni in vari
laboratori italiani, da programmi pubblici, non brevettati da multinazionali e disponibili
per i nostri agricoltori. L’elenco include olivo, vite, susino, fragola, actinidia, pero,
pomodoro e frumento. Queste specie sono state modificate per migliorarne la resistenza
a malattie (funghi, batteri, virus), siccità e freddo, il processo di maturazione del frutto,
l’auto-fertilità, la produzione dell’amido al fine di rendere migliore il processo di
panificazione o di pastificazione. Inoltre, alcuni di questi individui producono proteine
importanti per un possibile impiego farmacologico, per esempio il trattamento di
malattie neurodegenerative.
Si chiede espressamente allo Stato italiano di porre fine al furbesco e alquanto ipocrita
espediente finora adottato, per cui il Ministero dell’Ambiente non può rilasciare
l’autorizzazione di sperimentazione in campo, in quanto il Ministero dell’Agricoltura e
quello dell’Ambiente non hanno ancora approvato i protocolli sperimentali e le Regioni
non hanno ancora individuato i siti di sperimentazione. Compiti che l’Italia avrebbe
dovuto adempiere, già dal 2007, come hanno fatto tutti gli altri Stati comunitari secondo
le direttive della UE. In questo modo si è privato il mondo agricolo nazionale di
conoscenza e informazioni sui possibili rischi e benefici reali prodotti da questa
tecnologia e anche di nuovi prodotti probabilmente utili a risolvere problemi importanti
delle nostre produzioni agrarie.
È per questo motivo che si chiede nel contempo alle associazioni di categoria di
esprimersi in maniera chiara e netta. A parole si sono espresse favorevolmente in tante
occasioni, in pratica non hanno dato alcun supporto, mostrando un atteggiamento
antiscientifico e paura di esporsi sull’approvazione di questa tecnologia. Assieme ai
politici hanno costantemente abusato dell’espressione “innovazioni tecnologiche”, senza
tenere in considerazione che queste si raggiungono attraverso la ricerca, l’impegno dei
ricercatori e adeguati investimenti umani e finanziari.
La Natura e l’azione dell’uomo generano fenomeni sempre nuovi: il coronavirus, i
cambiamenti climatici in atto e l’indiscriminato aumento demografico sono i più recenti
ed evidenti fenomeni, peraltro già da tempo preconizzati e che non avrebbero dovuto
coglierci impreparati nel porre rimedi ai rischi che possono generare. Al contrario, invece
di intensificare le ricerche, per prevenire o combattere rapidamente questi rischi con
nuove efficienti tecnologie, stiamo assistendo in certi settori ad una progressione
scientifica piuttosto lenta e farraginosa, per motivazioni ideologiche, etiche e paure
spesso immotivate.
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In certi Paesi si muore o si diventa ciechi ancora per una semplice avitaminosi (vitamina
A), per malnutrizione e per carestie dovute a ricorrenti siccità, quando già da tempo ci
sono piante pronte per essere coltivate che possono ridurre questi problemi (riso con
provitamina A, mais resistente a siccità, etc.), ma trovano ostacoli ad essere coltivate o
addirittura ad essere sperimentate in campo, come avviene appunto in Italia. Ci si
preoccupa solo quando è troppo tardi e allora non ci si fa scrupoli ad incolpare la scienza
e gli scienziati.
Disporre di piante resistenti a malattie in tempi rapidi, come si potrebbero ottenere con
le biotecnologie moderne, non è più un lusso, ma una improrogabile esigenza causata
prevalentemente dalla globalizzazione. La facilità e l’estrema rapidità con cui i parassiti
circolano indisturbati negli angoli più remoti del nostro pianeta, per l’assenza di nemici
naturali, rendono necessari i presidi sanitari efficienti sempre più difficilmente reperibili.
Le biotecnologie sono strumenti aggiuntivi e spesso più rapidi nel far fronte alle
impellenti richieste da parte degli agricoltori per migliorare le filiere produttive, incluse
quelle del biologico, più sicure per l’ambiente e per i consumatori. Al contempo sono
capaci di salvare dall’estinzione quelle varietà che fanno parte delle nostre tipicità locali,
che è un nostro dovere proteggere, come è doveroso preservare la tradizione. Di fatto
l’Italia, in particolare, ha delegato ai privati non solo la produzione dei prodotti biotech,
per poi importarne in massicce quantità, ma anche la ricerca, con gravi perdite di knowhow,
nonché di finanziamenti provenienti da programmi Comunitari.
Con l’avvento delle tecnologie del Genome Editing, la ricerca ha ripreso timidamente nel
settore biotech con un moderato entusiasmo da parte dei giovani ricercatori che stanno
però pagando lo scotto di quasi 20 anni di semi-inattività oltre alle difficoltà e delusioni
che tra breve dovranno affrontare per superare l’insormontabile ostacolo dovuto al
divieto di sperimentare i loro prodotti in campo, in particolare le piante arboree che mal
si adattano ad ambienti artificiali confinati.
I cittadini hanno il diritto di conoscere e di vedere con i loro occhi, presso i campi
sperimentali, i reali benefici e le soluzioni utili messe in atto a rendere più sicure le
nostre filiere agricole e conoscere direttamente dagli esperti e non dagli improvvisati
comunicatori, spesso di parte e con conoscenze superficiali, i reali vantaggi e gli eventuali
rischi garantendo, al contempo l’azione di una autorevole ricerca pubblica di controllo su
quella privata.
Oggi i cittadini sono confusi, perché nessuno spiega loro con sincerità e competenza
cosa sono queste tecnologie e perché sono così importanti e indispensabili. In questo
momento storico vige l’errata convinzione che tutto ciò che è naturale è buono, che il
biotech è il contrario del biologico e che minaccia la biodiversità delle specie vegetali e
alimentare. Queste erronee notizie, diffuse prevalentemente a scopo commerciale,
provocano nei cittadini un senso di avversione verso le modalità di produzione e verso la
ricerca biotech, sia privata che pubblica.
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Al contrario essi dovrebbero pretendere dal mercato un prodotto finale di qualità, sicure
e a un prezzo accessibile a tutti. D’altro canto non si avverte ancora una seppur minima
minaccia di carenza di cibo, almeno in Europa, sistematicamente fronteggiata da
massicce importazioni da oltre oceano sia di prodotti tradizionali che di prodotti OGM.
Solo se, malauguratamente, si dovesse paventare una necessità di cibo, allora ci si
accorgerebbe della importanza della ricerca e delle sue innovazioni. Solo allora si
realizzerà che ogni limitazione posta alla ricerca pubblica equivale a favorire coloro che
ideologicamente si vorrebbe combattere.
I cittadini debbono sapere che la tecnologia OGM in agricoltura non è stata un fallimento,
come i detrattori vogliono far credere, solo perché i pochi prodotti in commercio
testimoniano una aspettativa inferiore a quanto ci era stato prospettato. Semmai questo
è il risultato di anni di attivismo anti-OGM che ha avuto l’effetto di bloccare la ricerca
pubblica, accessibile a tutti, ma non quella delle multinazionali che hanno continuato a
investire solo sulle specie a più ampio valore commerciale e di profitto a livello globale.
Se l’obiettivo degli anti-OGM era quello di bloccare le multinazionali, il risultato è stato
quello di rafforzarle e aumentare il loro controllo sulle produzioni di diversi alimenti di
base per la popolazione mondiale (mais, soia, riso). Il numero dei prodotti continuerà ad
essere esiguo anche in futuro se non verrà semplificata la regolamentazione per
l’immissione in commercio, che richiede notevoli investimenti finanziari che escludono a
priori le Istituzioni di ricerca pubblica e le piccole imprese Nazionali.
Sebbene consapevoli che le innovazioni genetiche, prodotte con tecniche biotech, non
siano le uniche soluzioni per la lotta alla miseria, alla fame, alla malnutrizione e al
degrado ambientale, possono tuttavia offrire un considerevole contributo. Bloccarle, per
motivi ideologici, giocando altresì sui bias cognitivi, o per l’interesse di alcune lobby è un
atto sconsiderato e irresponsabile. In particolare, lo è nei confronti dei ricercatori italiani,
a cui viene negato il diritto di mostrare i risultati delle loro ricerche, degli agricoltori che
non hanno accesso alle innovazioni che possono garantire una maggiore sostenibilità dei
loro sistemi produttivi e dei consumatori, a cui non viene data la corretta informazione
sull’impatto di queste tecnologie e sui possibili benefici sulla sicurezza alimentare.
ogm
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